Nella 35esima puntata del podcast abbiamo avuto il piacere di avere nostra ospite Martina Maffioli, esperta di digital marketing che attualmente vive a Barcellona dove affianca con la sua esperienza aziende spagnole volte al mercato italiano.
Con lei, grazie al suo background in ambito HR, ci siamo focalizzati su un argomento molto caldo: le persone in azienda.
W: Ciao Martina, cosa ti ha spinto ad iniziare ad appassionarti alle persone in ambito professionale?
Martina: Alla ricerca di una nuova opportunità lavorativa, mi sono accorta che mancava empatia e sensibilità nel mondo HR, in particolare nei processi di selezione, parlando di queste mancanze ho iniziato a scrivere questi pensieri su Linkedin e da lì una nuova avventura lavorativa nel recruitment a seguito di un contatto dal team di risorse umane di una grande azienda. Il networking è uno strumento potente e da molto chance, non bisogna sottovalutarlo. Noi in generale non siamo abituati e preparati ad avere al centro le persone nelle realtà lavorative, ma il fatturato i prodotti eccetera, non ci si domanda perché non si abbiano buone performance ma “si fanno fuori” le persone. Ora fortunatamente stanno cambiando le cose, le necessità, la velocità e forse finalmente inizia a vedersi un po’ di luce.
W: L’attenzione alle persone è un elemento chiave per gli OKR. Sono cambiati i tempi e la velocità delle cose. Mi sto rendendo conto che prima il prodotto faceva successo e l’azienda era conosciuta e viveva su quello, oggi i bisogni e i mercati cambiano così velocemente che il tuo sistema/servizio può morire dall’oggi al domani: per questo come azienda che vuole avere buone performance nel tempo, l’unico modo è puntare sulle persone come generatrici di valore.
Martina: Concordo. Mi è capitato di vedere un video di Steve Jobs dove diceva appunto di aver scelto le persone migliori per ogni team: Iphone, Mac ecc.), in modo da avere delle riunioni settimanali di 3 ore al massimo in cui far nascere opportunità, idee, dare sfogo alla creatività insomma. E’ chiaro che se avesse fatto “micromanagement” non avrebbe ottenuto i grandi risultati che invece ha raggiunto Apple.
Per costruire una grande azienda devi contrattare talento, ti devi fidare delle persone che hai e solo con fiducia e giusta dose di libertà nascono le grandi idee che plasmano il mondo.
W: La libertà di pensiero è l’unica modalità con cui tirare fuori la creatività, una volta si puntava a rendere operative le persone, ma oggi se la questione è quella di eseguire un compito esistono i computer per farlo! Il punto è tirare fuori le idee e farlo secondo le priorità aziendali, rendere la mente e di conseguenza le scelte allineate alle priorità aziendali.
Martina: Vero. Se l’azienda nasce con determinati obiettivi e li sviluppa solo in un’ottica di aumento di fatturato o notorietà senza spiegare e coinvolgere persone e ogni nuovo arrivato in quelli che sono gli obiettivi e il “purpose” aziendale, è impossibile generare motivazione nelle persone. E’ fondamentale far sì che ci sia sempre correlazione tra gli obiettivi aziendali e quelli delle singole persone per ingaggiarli quotidianamente a dare il massimo. Nessuno in uno scenario di abbandono ha la sensazione di essere parte di un cambiamento, si lavora per inerzia, perché qualcun altro ti ha dato un obiettivo, da qui nascono le frustrazioni che portano i talenti a fuggire.
Prendendo la mano di ogni nuova risorsa, ad esempio con un training soprattutto nelle prime fasi, avrai:
- Persone più autonome
- Persone più fiere e motivate di lavorare nella tua azienda.
W: Assolutamente vero. Altro aspetto molto difficile è quello non solo di comunicare l’obiettivo ma anche di definirlo.
Questo è il motivo per cui il contesto deve essere trasparente: fa tutto parte di qualcosa di più ampio. Solo se tutti sono a conoscenza dell’obiettivo aziendale potranno sentirlo loro e fare qualcosa per apportare supporto e cercare di raggiungerlo.
Alcune volte non è necessario misurare l’impatto con i numeri ma basta la “O” dei nostri amati OKR. Il concetto in altre parole.
I numeri sono relativi ma lo scopo no, è più importante che si capisca il motivo per cui stai facendo quello che fai piuttosto che misurare costantemente numeri privi di senso.
Martina: Il Sistema OKR dovrebbe essere parte già del processo di Onboarding che è un momento chiave: conoscere persone e dipartimenti con cui lavorerai, adottare e far passare il concetto che non siamo compartimenti stagni e divisi, ma che lavoriamo tutti per uno stesso grande obiettivo.
Io dico che il processo di onboarding è la fotografia dell’azienda ed è in continuo cambiamento, la cultura invece deve essere raccontata tramite la struttura in modo da rimanere sempre aggiornata e condivisa: il sistema cambia e tu con lui.
Ragionare sul fatto che gli obiettivi possano scendere a livello di team è già un passo avanti! Non è scontato, troppo spesso in azienda vengono assegnate mansioni, task da fare senza spiegarne la motivazione e non obiettivi da raggiungere.
L’effetto degli OKR
W: Gli OKR sono uno strumento che può diventare utile per tirare fuori il meglio dalle persone. La difficoltà è quella di trovare il giusto equilibrio per avere un sistema strutturato, ma che lasci la possibilità di avere uno spazio di manovra per sfruttare la creatività delle persone: il “wanna be” delle aziende dovrebbe essere questo.
L’obiettivo non può essere dato dall’alto senza discuterlo e senza un feedback di confronto.
La definizione degli obiettivi non deve essere un limite, ma lo strumento per superare ogni limite!
Martina: Fare tante domande è essenziale.
Deve essere chiaro per tutti in modo da poter essere utilizzato sempre da tutti.
La consapevolezza è un altro elemento cruciale.
W: È proprio la mancanza di obiettivi che solitamente porta le persone a sedersi e lamentarsi.
Delegare significa dare fiducia e libertà, l’importante è solo rendere chiaro dove bisogna puntare attraverso la mission aziendale.
Si parla di “guidare con il contesto”.
Questo può avvenire dando autonomia ai team nel proporre i propri indicatori di performance che si gestiscono da soli comunicando propri obiettivi per ricevere feedback e sapere se hanno settato le corrette priorità.
Tu avere team autonomi la vedi come un’utopia, oppure pensi che con i giusti strumenti si possa raggiungere?
Martina: Io ho lavorato con Agile e ho apprezzato la modalità. L’Agile Coach all’inizio non capivo a cosa potesse servire, ma poi lui ha studiato come eravamo suddivisi, ci siamo ristrutturati seguendo la metodologia e da lì è andata sempre meglio perché chiarire le responsabilità rende autonomo il singolo garantendo un livello di autonomia alta e anche una missione. Ad oggi non la vedo come utopia perché per le nuove realtà è più facile partire con il piede giusto e per quelle che nasceranno sicuramente sarà quasi scontato. La vedo dura per le Corporate che esistono da anni, in cui è più difficile soppiantare il vecchi e entrare con questo nuovo approccio perché la comunicazione nei dipartimenti è complessa per una serie di motivazioni, scontrandosi con una cultura del “si è sempre fatto così”. Anche se non possono fuggire dalle grandi sfide legate all’attrazione di nuovi talenti che appartenenti ad una generazione più in linea con questi nuovi principi, ricercano lo stesso anche in ambito professionale.
Ormai dovrebbe essere chiaro che al centro c'è il lavoratore visto come preziosa risorsa da affascinare day by day senza farla appassire, lavorare per piantare nuovi semi per dare nuova vita con delle ragioni valide, chi cerca lavoro non cerca uno stipendio alto gli interessa avere un piano di carriera strutturato.
W: Grazie Martina per il tuo prezioso intervento. Speriamo che qualche Corporate ascolti le tue parole!
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